Un altro mito della caverna. Che cosa sono le nuvole?
Davide Mastroianni
Credo sia d’obbligo, prima di procedere all’analisi, di curarsi almeno dei dati anagrafici, se così si può dire, di Che cosa sono le nuvole? e dell’opera nella quale si inserisce, Capriccio all’italiana. Si tratta di film collettivo, realizzato da sei autori (Mario Monicelli, Stefano Vanzina, Mauro Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Zaccaria e Franco Rossi) che mette in scena altrettanti cortometraggi (due dei quali di Bolognini, mentre Zaccaria e Rossi lavorarono insieme). Che cosa sono le nuvole? tratta della rappresentazione dell’Otello di William Shakespeare, eseguita in un piccolo teatro da attori marionette, controllati da un burattinaio. Durante le pause tra le scene, Otello interroga Iago e il burattinaio su ciò che c’è di vero nella loro rappresentazione, e sul perché delle loro azioni nel contesto di questa. Durante la scena dell’assassinio di Desdemona (a me piace pensare che avvenga per la capacità di queste marionette di coinvolgere ed emozionare il pubblico), quest’ultimo interviene strangolando Otello e Iago, e portando in trionfo Cassio. L’episodio si conclude con il “mondezzaro” che, cantando, porta Iago e Otello alla discarica, dove questi osservano affascinati le nuvole. Ultima apparizione cinematografica di Totò, il quale non riuscì nemmeno a vederla su schermo, il corto mette in scena un cast d’eccellenza, a cominciare da De Curtis, proseguendo con Ninetto Davoli, attore che accompagnò Pasolini nei suoi film dal ‘63 al ‘75, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Domenico Modugno, Laura Betti e Adriana Asti.
Analisi dell’opera
Siamo in un sogno dentro un sogno. Ho deciso di cominciare riproponendo la frase pronunciata da Totò/Iago, in quanto la trovo una delle più significative di tutto il corto, essenza e nucleo attorno ai quali ruota tutta la trama. Il quarto episodio di Capriccio all’italiana mette in scena una rappresentazione teatrale dell’Otello di Shakespeare, i cui attori, vere e proprie marionette in carne ed ossa, si trovano divisi tra ciò che sono in realtà e un imperativo “the show must go on”. “Un sogno dentro un sogno” ricorda innanzitutto, dal punto di vista meramente strutturale, la tecnica di mise en abîme utilizzata per la pellicola: si tratta infatti della rappresentazione di una rappresentazione, come il Sogno di una notte di mezza estate dello stesso Shakespeare. Il significato della frase può però essere inserito in altri contesti. Ad esempio, si tratta di attori che recitano la parte di attori, in un film che mette in scena un’opera teatrale: una finzione in una finzione, un sogno in un sogno. Un sogno con personaggi che si curano della realtà, della verità e di cosa siano loro stessi.
Ma allora qual è la verità? È quello che penso io di me, o quello che pensa la gente, o quello che pensa quello là, lì dentro? Cosa è vero, quindi, e cosa falso? Per citare un anonimo attore di teatro, “tutto quello che avviene sul palco è vero”. Significa forse che la finzione è la stessa realtà? Forse. Per vederla da un altro punto di vista, si potrebbe dire che anche la finzione è realtà: un avvenimento fittizio ha comunque un’esistenza reale, sia esso nella cornice di un teatro o nell’immaginario di qualcuno poiché, di fatto, questo ha luogo nel suo ambiente. Parlando più “filosoficamente”, questa ricerca della determinazione dell’Io può vedersi come il tentativo di trovare una risposta alla domanda esistenziale “chi o che cosa sono io?”: da una parte, il cogito cartesiano, appena citato (“quello che penso io di me”), dall’altra sembra spuntarla il determinismo tipico della filosofia e del punto di vista cristiano-teista: già il fatto che gli attori- marionette siano legati a fili, e che quindi conducano un’esistenza programmata e determinata, senza possibilità di cambiare il proprio futuro, ci fa capire quanto questa visione sia sottolineata nell’opera. Ad evidenziarla ancora di più, si aggiunge la figura del marionettista che cerca di convincere Otello ad uccidere Desdemona contro la sua volontà, “forse perché a Desdemona piace essere ammazzata”.
Un altro mito della caverna
Cosa senti dentro di te? Concentrati bene, cosa senti? Eh?
Sì, sì, si sente qualcosa che c’è!
È quella la verità. Ma, sst. Non bisogna nominarla. Perché appena la nomini,non c’è più.
Guardando questo corto per la prima volta, mi saltò subito all’occhio una certa somiglianza con il famoso mito raccontato da Platone: vi sono all’interno di una caverna degli uomini, costretti a guardare delle ombre di oggetti rappresentanti le più svariate cose, ed essi pensano che ciò sia la realtà. Uno di essi, liberatosi in qualche modo dalle catene che lo tenevano prigioniero, ne esce, e lì fuori vede la realtà esterna, la verità. Una volta tornato, questi libera i compagni ma costoro, non credendogli riguardo al mondo esterno, lo uccidono. Allo stesso modo, il teatro presenta una somiglianza quasi inquietante con una caverna: angusto, opprimente, senza finestre, crea un’illusione di apertura grazie ai muri azzurri simili a un cielo. Certamente, l’ordine degli eventi non è esattamente lo stesso ma, in un modo o in un altro, ogni passo principale del mito è presente: la scoperta, grado per grado, della verità da parte di Davoli/ Otello, che si interroga su di essa, e di Totò/Iago, che già la conosce; la ì dissoluzione dei legami che tengono Otello e Iago lontani dalla verità, rappresentata dalle due marionette senza fili, verso la fine del corto; l’uscita dal teatro/caverna e la scoperta della verità; e la morte, seppure in questo caso simbolica, di coloro che l’hanno scoperta per mano di chi è restato nella caverna.
Divagazioni
Io so.
14 novembre 1974. Corriere della sera. Un articolo firmato da Pasolini suscita scalpore e sconcerto. In due parole, due monosillabi, nello specifico, l’autore riesce ad insinuare il sospetto nelle menti di molti. “Io so”. “Cos’è questo golpe?”, articolo apparso prima sul quotidiano, poi raccolto negli Scritti Corsari, è forse una delle più pesanti accuse dell’artista nei confronti dello Stato: senza nominare nessuno, chiama in causa le maggiori istituzioni di potere, italiane e non, legali e non, implicate in questo “golpe” (anzi, in questi “golpe”). Perché allora parlarne, quando il tema del film è filosofico?
D’altronde, qui parliamo, o almeno fino ad ora abbiamo parlato, del Pasolini intellettuale. È mia opinione, però, che non sia giusto separare l’intellettuale dal politico.
Il punto della questione è in sostanza questo: Pasolini è il nuovo Socrate. Intellettuale, certo, ma non senza un occhio critico verso la Politica. Insomma,
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Con queste parole, Pasolini esce dalla caverna fatta di insabbiamenti e prove nascoste, di alleanze tra istituzioni e violenza, cercando di far luce sulla verità. E “Cos’è questo golpe?” non è altro che un’apologia, composta dopo la liberazione dei suoi meschini compagni dalla prigionia del falso, nella quale il novello Socrate mena un ultimo colpo di coda diretto al cuore del suo carceriere. Perché lui sa.