Il “ragionamento sul dolore civile”
Alessio Yang
Gli anni del “Setaccio” rappresentano quell’itinerario periglioso che caratterizza la giovinezza di Pier Paolo Pasolini. Appena ventenne e universitario a Bologna era già incarnazione di una personalità contraddittoria. Era infatti, come per tanti altri intellettuali del tempo, preda di un conflitto interiore dovuto alla pressione di una politica fascista oppressiva della libera espressione.
«Portatore di tragedia attraverso il vulcano della grazia»1 lo definiva il suo amico Roberto Roversi. In questo clima di conflitto interiore e maturazione ideologica, in una società sempre più permeata dal regime fascista, scrive sul “Setaccio” nel ’42 l’articolo “Ragionamento sul dolore civile”2 che , è uno dei più rappresentativi del suo pensiero giovanile.
Nel suo saggio, riflessione di una condizione umana fragile ma potente, passato presente e futuro diventano personaggi del teatro della vita dove l’introspezione è mezzo necessario per risolvere il conflitto interiore.
Il passato, l’infanzia, il rifugio del «fiume, del bosco, del prato e della
vigna», col fuggir degli anni null’altro è che una «ferma nostalgia», l’infante Pasolini libero e protetto solo un «sogno che non muta».
Il futuro, l’infinito diventa ignoto, ombra di una paura senza nome, sfuggevole e sfuggita.
Il presente si trasforma dunque in una voragine in cui «noi ci sprofondiamo senza curiosità, inerti ad un desto e vigilante letargo», ammaliati dai vapori del passato e dal terrore dell’infinito futuro. La voragine della gioventù apre su un deserto dell’io, deserto di emozioni e ideali sepolti e lontani dal mondo esterno, atto egoistico di un uomo non ancora maturo.
«Ma questo deserto non è peccato» ci consola Pasolini. Anzi è il deserto della vita. Della scelta. La possibilità di elevare questa solitudine egoistica e misantropa, di uscire dalla propria “turris Eburnea”, di trasformare il deserto dell’io nel frutto della
civiltà. Riscoprire, riesumare alla luce del nostro egoismo le emozioni sepolte, quegli antichi “attributi del vivere umano” tanto cari a Pasolini: solidarietà, progresso, carità, patria. Maturare, far evolvere l’amore per l’io in un amore civile, amore per l’umanità. È questo lo scopo ultimo dell’uomo civile. Patria e fratellanza.
Così il dolore civile diventa necessità, meritevole non di lacrime e pietà bensì di orgoglio ed ammirazione. E così il sacrificio diventa «attributo dei popoli nobili», marchio indelebile del coraggio e dell’umiltà. Questo insegnava Pasolini ai suoi lettori, questo insegna a noi ancora oggi: la libertà è un sogno realizzabile, la Storia ancora da compiere. Approfittare della giovinezza per fare della nostra vita amore per l’uomo, lottare per fare, dell’io ego, un io civile.
Col “Ragionamento sul dolore civile” Pasolini fa di un semplice saggio qualcosa di potente e pericoloso. E’ un’invocazione, una chiamata alle armi, se non un grido di battaglia. Pasolini si rivolge al suo pubblico del “Setaccio”, a «chi può intendermi» come dice lui, agli intellettuali: quella comunità cosi dinamica e prospera di idee, giovani e scissi proprio come lui, muti davanti a un regime sempre più soffocante. Questo impegno degli intellettuali, già trattato in altri articoli della rivista, diventa nell’amore civile di Pasolini mezzo essenziale.
Li esorta ad uscire dalla propria turris eburnea, li esorta a mostrarsi, a
prendere coscienza e responsabilità della loro Storia, la nostra Storia. Non a propagandare ma ad educare, educare a questo amore. Ma Pasolini non si ferma qui. Coglie nel “Setaccio” la possibilità di sforare le regole, di elargire ad un pubblico le sue idee politiche, il suo dissenso ad un regime sempre più claustrofobico per gli ideali pasoliniani. Fa dei suoi articoli una ambigua critica al fascismo, la stessa politica inneggiata nella rivista. Nel saggio parla dell’elevazione dell’uomo nel suo deserto, parla della mancanza dell’eroe «che come un faro ci guida» e come questa perdita possa essere rimpiazzata dall’amore per la patria. Una frase come tante altre, bella ma non tanto innocente. Ambigua, violenta. L’eroe è il padrone dell’Italia fascista dopotutto. Un eroe secondario, sostituibile, non necessario. Un saggio che incarna perfettamente l’autore nella sua complessità. Tagliente e pericoloso.
Note
1 R. Roversi “L’urlo di Pasolini”in Cartediemema 2000 n.5.
2 P. P. Pasolini, Ragionamento sul dolore civile. A cura di M. Ricci, Ogni uomo è tutti gli uomini Edizioni, 2011. Si ringrazia l’editore per aver messo a disposizione degli studenti i suoi libretti.